VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO A MILANO

INCONTRO CON I RAGAZZI CRESIMANDI E CRESIMATI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Solennità dell'Annunciazione del Signore
Stadio Meazza - San Siro
Sabato, 25 marzo 2017

 

 

DOMANDA DI DUE GENITORI

 

Buona sera. Siamo Monica e Alberto, e siamo genitori di tre ragazzi di cui l’ultima il prossimo ottobre riceverà la Santa Cresima. La domanda che volevamo farLe è questa: come trasmettere ai nostri figli la bellezza della fede? A volte ci sembra così complicato poter parlare di queste cose senza diventare noiosi e banali o, peggio ancora, autoritari. Quali parole usare?

 

Papa Francesco:

 

Grazie. Io queste domande le avevo prima … Sì, perché me le avete inviate, e per essere chiaro nella risposta, ho preso qualche appunto, ho scritto qualcosa, e adesso vorrei rispondere a Monica e ad Alberto.

 

a. Credo che questa è una delle domande-chiave che tocca la nostra vita come genitori: la trasmissione della fede, e tocca anche la nostra vita come pastori e come educatori. La trasmissione della fede. E mi piacerebbe rivolgere a voi questa domanda. E vi invito a ricordare quali sono state le persone che hanno lasciato un’impronta nella vostra fede e che cosa di loro vi è rimasto più impresso. Quello che hanno domandato i bambini a me, io lo domando a voi. Quali sono le persone, le situazioni, le cose che vi hanno aiutato a crescere nella fede, la trasmissione della fede. Invito voi genitori a diventare, con l’immaginazione, per qualche minuto nuovamente figli e a ricordare le persone che vi hanno aiutato a credere. “Chi mi ha aiutato a credere?”. Il padre, la madre, i nonni, una catechista, una zia, il parroco, un vicino, chissà… Tutti portiamo nella memoria, ma specialmente nel cuore qualcuno che ci ha aiutato a credere. Adesso vi faccio una sfida. Un attimino di silenzio… e ognuno pensi: chi mi ha aiutato a credere? E io rispondo da parte mia, e per rispondere la verità devo tornare con il ricordo in Lombardia… [grande applauso] A me ha aiutato a credere, a crescere tanto nella fede, un sacerdote lodigiano, della diocesi di Lodi; un bravo sacerdote che mi ha battezzato e poi durante tutta la mia vita, io andavo da lui; in alcuni momenti più spesso, in altri meno…; e mi ha accompagnato fino all’entrata nel noviziato [dei Gesuiti]. E questo lo devo a voi lombardi, grazie! [applausi] E non mi dimentico mai di quel sacerdote, mai, mai. Era un apostolo del confessionale, un apostolo del confessionale. Misericordioso, buono, lavoratore. E così mi ha aiutato a crescere.

 

Ognuno ha pensato la persona? Io ho detto chi ha aiutato me.

 

E vi domanderete il perché di questo piccolo esercizio. I nostri figli ci guardano continuamente; anche se non ce ne rendiamo conto, loro ci osservano tutto il tempo e intanto apprendono. [applauso] «I bambini ci guardano»: questo è il titolo di un film di Vittorio De Sica del ’43. Cercatelo. Cercatelo. “I bambini ci guardano”. E, fra parentesi, a me piacerebbe dire che quei film italiani del dopoguerra e un po’ dopo, sono stati – generalmente – una vera “catechesi” di umanità. Chiudo la parentesi. I bambini ci guardano, e voi non immaginate l’angoscia che sente un bambino quando i genitori litigano. Soffrono! [applauso] E quando i genitori si separano, il conto lo pagano loro. [applauso] Quando si porta un figlio al mondo, dovete avere coscienza di questo: noi prendiamo la responsabilità di far crescere nella fede questo bambino. Vi aiuterà tanto leggere l’Esortazione Amoris laetitia, soprattutto i primi capitoli, sull’amore, il matrimonio, il quarto capitolo che è una davvero una chiave. Ma non dimenticatevi: quando voi litigate, i bambini soffrono e non crescono nella fede. [applauso] I bambini conoscono le nostre gioie, le nostre tristezze e preoccupazioni. Riescono a captare tutto, si accorgono di tutto e, dato che sono molto, molto intuitivi, ricavano le loro conclusioni e i loro insegnamenti. Sanno quando facciamo loro delle trappole e quando no. Lo sanno. Sono furbissimi. Perciò, una delle prime cose che vi direi è: abbiate cura di loro, abbiate cura del loro cuore, della loro gioia, della loro speranza.

 

Gli “occhietti” dei vostri figli via via memorizzano e leggono con il cuore come la fede è una delle migliori eredità che avete ricevuto dai vostri genitori e dai vostri avi. Se ne accorgono. E se voi date la fede e la vivete bene, c’è la trasmissione.

 

Mostrare loro come la fede ci aiuta ad andare avanti, ad affrontare tanti drammi che abbiamo, non con un atteggiamento pessimista ma fiducioso, questa è la migliore testimonianza che possiamo dare loro. C’è un modo di dire: “Le parole se le porta il vento”, ma quello che si semina nella memoria, nel cuore, rimane per sempre.

 

b. Un’altra cosa. In diverse parti, molte famiglie hanno una tradizione molto bella ed è andare insieme a Messa e dopo vanno a un parco, portano i figli a giocare insieme. Così che la fede diventa un’esigenza della famiglia con altre famiglie, con gli amici, famiglie amiche… Questo è bello e aiuta a vivere il comandamento di santificare le feste. Non solo andare in chiesa a pregare o a dormire durante l’omelia – succede! -, non solo, ma poi andare a giocare insieme. Adesso che cominciano le belle giornate, ad esempio, la domenica dopo essere andati a Messa in famiglia, è una buona cosa se potete andare in un parco o in piazza, a giocare, a stare un po’ insieme. Nella mia terra questo si chiama “dominguear”, “passare la domenica insieme”. Ma il nostro tempo è un tempo un po’ brutto per fare questo, perché tanti genitori, per dare da mangiare alla famiglia, devono lavorare anche nei giorni festivi. E questo è brutto. Io sempre domando ai genitori, quando mi dicono che perdono la pazienza con i figli, prima domando: “Ma quanti sono?” – “Tre, quattro”, mi dicono. E faccio loro una seconda domanda: “Tu, giochi con i tuoi figli?... Giochi?” E non sanno cosa rispondere. I genitori in questi tempi non possono, o hanno perso l’abitudine di giocare con i figli, di “perdere tempo” con i figli. Un papà una volta mi ha detto: “Padre, quando io parto per andare al lavoro, ancora stanno a letto, e quando torno la sera tardi già sono a letto. Li vedo soltanto nei giorni festivi”. E’ brutto! E’ questa vita che ci toglie l’umanità! Ma tenete a mente questo: giocare con i figli, “perdere tempo” con i figli è anche trasmettere la fede. E’ la gratuità, la gratuità di Dio.

 

c. E un’ultima cosa: l’educazione familiare nella solidarietà. Questo è trasmettere la fede con l’educazione nella solidarietà, nelle opere di misericordia. Le opere di misericordia fanno crescere la fede nel cuore. Questo è molto importante. Mi piace mettere l’accento sulla festa, sulla gratuità, sul cercare altre famiglie e vivere la fede come uno spazio di godimento familiare; credo che è necessario anche aggiungere un altro elemento. Non c’è festa senza solidarietà. Come non c’è solidarietà senza festa, perché quando uno è solidale, è gioioso e trasmette la gioia.

 

Non voglio annoiarvi: vi racconterò una cosa che io ho conosciuto a Buenos Aires. Una mamma, era a pranzo con i tre figli, di sei, quattro e mezzo e tre anni; poi ne ha avuti altri due. Il marito era al lavoro. Erano a pranzo e mangiavano proprio cotolette alla milanese, sì, perché lei me l’ha detto, e ognuno dei bambini ne aveva una nel piatto. Bussano alla porta. Il più grande va, apre la porta, vede, torna e dice: “Mamma, è un povero, chiede da mangiare”. E la mamma, saggia, fa la domanda: “Cosa facciamo? Diamo o non diamo?” – “Sì, mamma, diamo, diamo!”. C’erano altre cotolette, lì. La mamma disse: “Ah, benissimo: facciamo due panini: ognuno taglia a metà la propria e facciamo due panini” – “Mamma, ma ci sono quelle!” – “No, quelle sono per la cena”. E la mamma ha insegnato loro la solidarietà, ma quella che costa, non quella che avanza! Per l’esempio basterebbe questo, ma vi farà ridere sapere come è finita la storia. La settimana dopo, la mamma è dovuta andare a fare la spesa, il pomeriggio, verso le quattro, e ha lasciato tutti e tre i bambini da soli, erano buoni, per un’oretta. E’ andata. Quando torna la mamma, non erano tre, erano quattro! C’erano i tre figli e un barbone [ride] che aveva chiesto l’elemosina e lo hanno fatto entrare, e stavano bevendo insieme caffelatte… Ma questo è un finale per ridere un po’… Educare alla solidarietà, cioè alle opere di misericordia. Grazie.


 

La fede si tramanda in famiglia

 

Giovedì, 3 maggio 2018

 

 

Nelle grandi città sono sempre più spesso le badanti straniere a fare da seconde mamme e a trasmettere con la concretezza dell’amore e della testimonianza la fede ai bambini. E forse i genitori, presi da mille impegni di lavoro, dovrebbero riscoprire la bellezza del loro ruolo nel trasmettere la fede ai loro figli e non aspettare il catechismo in parrocchia o qualche saltuaria partecipazione alla messa. 

 

«Nel passo della lettera di san Paolo ai Corinzi si parla della trasmissione della fede» : «A voi infatti ho trasmesso anzitutto quello che anche io ho ricevuto». Ed è proprio così, ha spiegato il Papa, che «va trasmessa la fede: do quello che ho ricevuto e Paolo recita quello che ha ricevuto». Ma «la fede non è soltanto la recita del Credo: la fede si esprime nel Credo ma è di più». Perché se «tutto quello che crediamo è nel Credo, l’atteggiamento di fede va oltre, è un’altra cosa, più grande».

 

Del resto, ha rilanciato il Pontefice, «trasmettere la fede non è dare informazioni, ma fondare un cuore, fondare un cuore nella fede in Gesù Cristo». Per questa ragione «trasmettere la fede non si può fare meccanicamente» dicendo: «prendi questo libretto, studialo e poi ti battezzo». No, ha insistito Francesco, «è un altro il cammino per trasmettere la fede: è trasmettere quello che noi abbiamo ricevuto».

 

E proprio «questa è la sfida di un cristiano: essere fecondo nella trasmissione della fede» ha affermato il Papa. Ma è «anche la sfida della Chiesa: essere madre feconda, partorire dei figli nella fede» ha aggiunto, spiegando che «questa non è un’esagerazione: lo diciamo nella cerimonia del Battesimo». Dunque ecco «la Chiesa che “partorisce”, che è “madre”». E in questa prospettiva Francesco ha suggerito «due tracce della trasmissione della fede».

 

«La Chiesa è madre se trasmette la fede nell’amore, sempre con aria di amore» ha detto il Pontefice, ricordando che «non si può trasmettere la fede senza questa aria materna». Tanto che «qualcuno ha scritto elegantemente» che «la fede non si dà, si partorisce». Ed è appunto «la Chiesa che partorisce in noi la fede: cioè, la trasmissione della fede sempre si dà nell’aria dell’amore, della madre Chiesa, si dà a casa».

 

Lo stesso san Paolo, ha proseguito il Papa, «ricorda a Timoteo, bello quel passo, “io ricordo la fede della tua mamma e della tua nonna”». Dunque, ha spiegato Francesco, «è la fede che va trasmessa di generazione in generazione, come un dono». Ma sempre «nell’amore, nell’amore della famiglia: lì si trasmette la fede, non solo con parole, ma con amore, con carezze, con tenerezza».

 

Il Pontefice ha anche riproposto, a questo riguardo, l’episodio raccontato nel libro dei Maccabei, «quando quella donna dava forza ai sette figli davanti al martirio: nel testo si dice due volte che quella donna parlava ai figli in lingua materna, parlava in lingua, dava loro forza nella fede ma in lingua materna». Perché «la vera fede si trasmette sempre in dialetto: il dialetto dell’amore, della famiglia, della casa, quello che si capisce nell’aria». E «forse la lingua è la stessa, ma c’è qualcosa di dialetto lì, e lì si trasmette la fede “maternalmente”».

 

In sostanza, ha spiegato il Papa, se il «primo atteggiamento per la trasmissione della fede è l’amore, un altro atteggiamento è la testimonianza». In realtà, ha affermato, «trasmettere la fede non è fare proselitismo: è un’altra cosa, è più grande ancora». Certo, ha proseguito, «non è cercare gente che appoggi questa squadra di calcio, questo club, questo centro culturale: questo sta bene, ma per la fede non va il proselitismo». E «bene lo ha detto Benedetto XVI: “La Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione”». Infatti, ha detto Francesco, «la fede si trasmette, ma per attrazione, cioè per testimonianza». E, ha aggiunto, «oggi celebriamo la festa di due apostoli, Filippo e Giacomo, che hanno dato la vita, hanno trasmesso la fede con testimonianza». Testimoniare la fede, dunque.

 

A questo proposito il Papa ha voluto condividere un suo ricordo personale: «Una volta in una delle giornate della gioventù, credo che è stato a Cracovia, in un pranzo con i giovani, un giovane mi ha domandato: “Ma io ho un compagno che è ateo, ma è buono e bravo, gli voglio bene. Cosa devo dirgli perché si converta?”». Ed ecco la risposta schietta del Papa: «Meglio non dirgli niente, fa. E che lui si domandi: ma perché quest’uomo si comporta così? Perché quest’uomo fa così quando è normale fare il contrario? Da’ testimonianza».

 

È un fatto, ha spiegato il Pontefice, che «la testimonianza provoca curiosità nel cuore dell’altro e quella curiosità la prende lo Spirito Santo» che inizia a lavorarci «dentro». E così «la Chiesa crede per attrazione, cresce per attrazione, e la trasmissione della fede si dà con la testimonianza, fino al martirio». Proprio «quando si vede questa coerenza di vita con quello che noi diciamo, sempre viene la curiosità: “Ma perché questo vive così? Perché porta una vita di servizio agli altri?”». E «quella curiosità è il seme che prende lo Spirito Santo e lo porta avanti, e la trasmissione della fede ci fa giusti, ci giustifica».

 

Dunque, ha riaffermato il Papa, «la fede ci giustifica e nella trasmissione noi diamo la giustizia vera agli altri». In fondo «è semplice» quello che scrive Paolo ai Corinzi: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto». Quelle dell’apostolo sono parole chiare: «Ho trasmesso quello che ho ricevuto». Ricordano «la trasmissione della fede nell’amore, a casa». Però, ha rilevato Francesco, «tante volte a casa si sente dire: “quando andrà a catechismo imparerà”». E «tante volte sono le badanti, donne di fede che trasmettono, coloro che danno, trasmettono la fede ai bambini: anche badanti straniere». Magari i «genitori lavorano, vanno, sì, forse andranno a messa, una, due, tre, quattro volte all’anno, forse vanno a messa così, sono cattolici, ma non sanno trasmettere la fede; e sono le badanti quelle che trasmettono la fede».

 

E questo, ha affermato il Pontefice, «è un fatto che si vede tutti i giorni nelle grandi città e anche qui in Italia». La fede si trasmette «con l’amore» e «la badante è quella che carezza, quella che si prende cura, che fa crescere, che aiuta la mamma, è come una seconda mamma» E «questo è trasmettere la fede nell’amore, nella testimonianza», Perché non si tratta di «trasmettere una cosa, una filosofia» ma «trasmettere qualcosa che ti giustifica, che ti fa giusto agli occhi di Dio».

 

In conclusione il Papa ha invitato a chiedere «al Signore per tanti genitori che si prendano cura di questo, che sappiano che trasmettere la fede è una cosa grande, molto bella, molto bella». E chiedere anche «per tanti cristiani che il Signore ci dia a tutti la forza di dare testimonianza e con la testimonianza seminare curiosità; e quella curiosità la prende lo Spirito Santo e apre il cuore a ricevere la fede». (Papa Francesco)

 


La trasmissione della fede ai figli

Alfonso Aguilò

La migliore eredità - La fede è la migliore eredità che si possa trasmettere ai figli.  Tutti noi cerchiamo di trasmettere la fede, lo facciamo con la migliore volontà..., però a volte ci delude un poco il risultato, oppure ci guardiamo attorno e temiamo che alla fine i risultati non siano molto brillanti.
 
La testimonianza personale - I figli conoscono sufficientemente bene i genitori, sia negli aspetti buoni che nei meno buoni.  Non conviene sottovalutare la loro perspicacia, anche se sembrano piccoli e ingenui.  Tutto quello che i genitori dicono o fanno, o non fanno, è un messaggio che li forma o li deforma.  Bisogna fare in modo che trovino nella famiglia modelli attraenti, che siano punti di riferimento.  I genitori partono con i migliori auspici di riuscire. San Josemaría, Retamar, 1972: “...si devono accorgere che pregate: è quello che io ho visto fare ai miei genitori e mi è rimasto nel cuore.  Così, quando i tuoi figli arriveranno alla mia età, si ricorderanno con affetto della madre e del padre, che li hanno obbligati solo con l’esempio, con un sorriso, e dando loro la dottrina quando era conveniente, senza asfissiarli”. La storia dimostra che i grandi evangelizzatori, quelli che hanno propugnato le grandi riforme della Chiesa, quelli che in un Paese hanno ottenuto grandi progressi nei costumi, quelli che hanno rivitalizzato le istituzioni... sono stati i santi.  Persone che hanno dato una testimonianza di vita, un esempio personale capace di smuovere le inerzie dovute alla storia e alla debolezza personale I grandi cambiamenti nelle istituzioni e nelle persone di solito sono provocati dalle persone più sante, non dalle più sapienti nè dalle più potenti. “Nelle vicissitudini della storia, i santi sono stati i veri riformatori che tante volte hanno fatto risalire l’umanità dalle valli oscure nelle quali è sempre in pericolo di precipitare e l’hanno illuminata sempre di nuovo” (Benedetto XVI, Omelia a Marienfeld, 20.VIII.2005).
 
Però non basta essere esemplare - Ambiente di fiducia e di amicizia.  In molti ragazzi la fede langue perché quando arrivano i problemi non ne parlano con le persone adatte. Riflettere sulle caratteristiche che deve avere la persona dalla quale andremmo per prima a chiedergli consiglio in un momento difficile, per confidargli una preoccupazione
seria o per dare sfogo a una preoccupazione che ci opprime.  Se facessimo compilare un questionario a molta gente, è assai probabile che questo profilo di confidenza risulterebbe quello di una persona con una serie di caratteristiche molto chiare: affabile, serena, vicina, alla mano, che sa ascoltare, leale.  Domandiamoci se abbiamo queste caratteristiche, se riuniamo queste condizioni di credibilità personale che stimolano la confidenza di altre persone, e vedete come acquisirle. - Parlare a fondo con i figli è tra le cose più piacevoli che esistono, ciò che ci darà nella vita le più grandi soddisfazioni umane e soprannaturali; è la porta più diretta per stabilire una profonda amicizia con loro.  Quando una persona conquista la fiducia di un’altra, si apre una strada di reciproca soddisfazione, e poche volte non approfitterà dell’opportunità per parlare di se stessa, delle proprie preoccupazioni e dei propri sentimenti. San Josemaría nel 1972 a Retamar: “Fate in modo che siano leali, sinceri, che non abbiano paura di dirci le cose.  Perciò sii leale con loro, trattali come se fossero persone grandi, uniformandoti alle loro necessità e alla loro situazione di età e di carattere.  Sii loro amico, con loro sii buono e nobile, sii sincero e semplice”. “L’deale dei genitori consiste soprattutto nel riuscire ad essere amici dei propri figli: amici ai quali si confidano le preoccupazioni, con i quali si esaminano i problemi, dai quali ci si aspetta un aiuto efficace e amabile”. San Josemaría: “E’ necessario che i genitori trovino il tempo per stare con i figli e parlare con loro.  I figli sono la cosa più importante: più importante degli affari, del lavoro, del riposo”. Consigli pratici: - Se un ragazzo nota che un adulto lo ascolta con interesse si sentirà importante. - Trattare ognuno come se fosse importante... perché ogni persona è importante. - Tacere e far parlare; con brevi domande riportare la conversazione ai temi centrali. - Attenzione al consiglio precipitoso, ripetuto, inutile.  La maggioranza delle volte la cosa migliore è stare ad ascoltare e condividere:  Questo è ciò che trasmette interesse, apprezzamento, comprensione, sollievo. - Non fare osservazioni moralizzanti a ogni cosa che dicono. - Sentire un gran desiderio di ascoltare.  Così, non solo formiamo, ma possiamo imparare molto.  Ogni processo veramente formativo lo è nei due sensi. - Tutti noi abbiamo molti pregiudizi sulle persone e sulle cose, che potremmo superare se ascoltassimo con più interesse. - Utilizzare le buone occasioni. - Nei temi delicati bisogna cercare di evitare le parole forti.  Non far fare loro qualche affermazione che magari a noi possa suonare molto dura.  Offri loro un ventaglio di risposte, alcune piuttosto pungenti, mostrando di non sorprenderti se a una qualunque di esse dirà: “Sì, è proprio così”. - Clima di esigenza, di lavoro, di generosità, di temperanza.  Educare in questi valori spinge l’uomo ad andare oltre i desideri materiali, lo rende più lucido, più adatto a comprendere le realtà dello spirito.
Quelli che educano i figli con poca esigenza, con un eccesso di beni materiali, col desiderio di soddisfare tutti i loro desideri, chiudono con ciò le porte dello spirito.  Si tratta di una condiscendenza che può anche nascere dall’affetto, ma che più spesso nasce dall’egoismo, dal desiderio di risparmiarsi lo sforzo che comporta educare bene.  Dato che la dinamica del consumismo è di per sè insaziabile, cadere in questo errore porta le persone a uno stile di vita capriccioso e le introduce in una spirale di ricerca costante delle comodità.  Si evitano loro le sofferenze normali della vita, e poi diventano deboli e male abituati, con una delle più dolorose ipoteche sulla vita che si possano subire, perché faranno sempre poco, e quel poco avrà per loro un costo molto alto. Perciò noto sempre con tristezza i segni di ostentazione e di eccesso di comodità.  Soffro vedendo come perdono la libertà che scompare nel momento stesso in cui comincia l’eccesso di beni.  Il desiderio di lusso comporta in realtà un depauperamento, una mira sbagliata per tutto ciò che è materiale e che lascia una persona senza difese davanti alle sfide della vita. Quando si fissa l’attenzione nelle cose materiali, le persone vengono trattate con minore considerazine e si cade in un susseguirsi di rimpianti e preoccupazioni che incitano al consumo e turbano l’equilibrio dello spirito.  Quanto più hanno, tanto più desiderano, e invece di riempirsi, si apre in loro un gran vuoto. Maturità.  Non dare ulteriori contributi al fenomeno del prolungarsi dell’infanzia.
 
Il mistero della libertà - Prima di continuare, conviene notare che quando c’è di mezzo la libertà personale, non sempre le persone fanno quello che è più conveniente per loro o quello che noi stessi vorremmo.  A volte le cose si fanno bene ma riescono male, e serve a poco dare la colpa agli altri o a se stessi.  La cosa più sensata è riflettere su come si possono fare sempre meglio o su come si possono aiutare gli altri a farle meglio. - Il cammino della fede in ciascuno di noi è un cammino assai personale.  Abbiamo una diversità di modi di educare, di spiegare e di proporre le cose, di situazioni personali, familiari e di ambiente sociale.  Riflettere su ognuno di essi, considerarlo nell’orazione, chiedere a Dio luci per mettere a fuoco ognuno di essi.  Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato: “Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui” (24.4.05).  Educare nella fede non è tanto una questione di strategia e di programma quanto di aiutare ciascuno a scoprire il disegno di Dio per la propria vita. - Far sì che l’anima voglia.  Aiutarla a vedere da sè che deve migliorare e a farlo.  Noi in realtà non cambiamo nessuno: cambiano loro perché vogliono, col nostro aiuto.  San Josemaría: “Credo nella libertà come mezzo di formazione; credo nella libertà come mezzo efficace; credo nella fiducia come condizione di unità”. - Non rifugiarsi nel mistero della libertà per mascherare la nostra mancanza di impegno nell’educare meglio. - Occorre che i figli si formino in libertà.  Si deve dire fin dall’inizio che questo è straordinariamente difficile, perché educare in libertà non è semplicemente dare libertà – cosa che fa chiunque -, ma insegnare in libertà a utilizzare bene la libertà.  In certe età sarà
controproducente impostare le questioni in termini di obbligatorio/volontario, uguale per mangiare, dormire, andare a scuola, ecc.
 
Quattro ambiti di attenzione - Quattro ambiti di attenzione che hanno una grande importanza per trasmettere la fede: ٠۰ Pietà.  E’ vitale la vicinanza a Dio nell’orazione e nei sacramenti. ٠۰ Dottrina.  Una pietà senza dottrina è molto vulnerabile visto il costante travaglio intellettuale cui sono sottoposti.  Formazione apologetica con i piedi ben piantati a terra. ٠۰ Virtù.  Se c’è pietà e dottrina ma poca virtù, finiranno col pensare e sentire come vivono.  In ogni caso, quelli che posseggono virtù umane sono molto vicini a Dio. ٠۰ Ambiente.  Pur avendo pietà, dottrina e virtù, l’ambiente ha una straordinaria forza di attrazione.  Creare un ambiente che favorisca la crescita della fede e della virtù: come accade in un giardino: noi non facciamo crescere le piante, ma forniamo l’aiuto e l’ambiente adatto perché crescano.
 
Formare in unità di vita - Le fasi della formazione.  Possono essere mescolate, ma senza sottovalutarne nessuna.  Riflettere su di esse con un esempio (una virtù, fare orzione, vivere la vocazione cristiana...): ٠۰ Insegnare (mostrare la verità). ٠۰ Far pensare (riflettere sulla verità). ٠۰ Aiutare a mettere il cuore (rendere attraente la verità). ٠۰ Incoraggiare a decidere (decidersi per la verità). ٠۰ Aiutare ad essere concreti (portare la verità alla vita). ٠۰ Accompagnare (stare vicino senza sostituirsi). ٠۰ Esigere (mettere di fronte alla propria responsabilità). Non occorre seguirli formalmente, ma non bisogna dimenticare nessun passaggio.  E’ assai caratteristico cominciare dal quinto e poi continuare solo con l’ultimo. - Mirare all’unità di vita nella formazione che diamo.  Unire pietà e dottrina, dottrina e apologetica, dottrina e virtù, testa e cuore, ecc.  Nessun abuso di ricette dottrinali e argomenti di autorità: sforzarsi di rendere verosimile la verità.  Lottare contro il fideismo.  Affinare gli argomenti, sapere che cosa pensano, che cosa li muove, che cosa li sollecita.  No al pietismo con una semplice vernice di dottrina.  Nessuna dottrina se non si capisce la necessità di dare culto a Dio, di frequentarlo... di vivere le esigenze della fede... di fare apostolato... è necessario che la dottrina diventi vita, che porti a un impegno di vita, che non sia una cosa avulsa dalla vita reale.  Ottenere questo equilibrio, che a volte sembra così difficile, che ha un certo mistero, che fa capire in coscienza la necessità dell’orazione per riuscire, è la chiave nella ricerca costante dell’unità di vita che deve presiedere qualunque attività di formazione. - Ai genitori credenti poco praticanti conviene far constatare che se l’educazione morale si trasmette ai figli quasi senza vincoli a credenze religiose, è facile che ben presto
rimangano alcune semplici idee senza un fondamento chiaro.  Quando si prescinde da Dio, è molto facile che l’uomo smarrisca la strada fino a diventare l’unico che decide quello che è bene e quello che è male, in funzione dei propri interessi personali.  Perché aiutare una persona che difficilmente mi potrà ricambiare?  Perché perdonare?  Perché essere fedele a mio marito o a mia moglie quando è così facile non esserlo?  Perché non accettare quel piccolo guadagno facile?  Perché rischiare dicendo la verità e non permettere che sia un altro a pagare le conseguenze del mio errore? Chi non ha la coscienza del peccato e non ammette che vi sia qualcuno superiore a lui che giudica le sue azioni, è molto più indifeso dalla tentazione di erigersi a giudice, e unico giudice, del bene e del male.  Questo non significa che il credente operi sempre rettamente, nè che non s’inganni mai; però almeno non è solo.  Il credente è meno esposto a ingannare se stesso sostenendo che è cosa buona ciò che gli piace e cosa cattiva ciò che non gli piace.  Egli sa di aver dentro una voce morale che in determinati momenti lo avvertirà: basta, non andare avanti da lì. Vi sono occasioni in cui i motivi di convenienza naturale ad agire bene ci spingono con grande forza.  Ma vi sono altre occasioni – e non sono poche – in cui questi motivi di convenienza naturale perdono peso nella nostra mente, per un motivo qualsiasi, e allora sono i motivi soprannaturali che diventano i protagonisti e ci aiutano ad agire come dobbiamo.  Fare a meno degli uni e degli altri è un errore morale e un errore educativo di grande importanza.  Perciò i genitori credenti che danno poca importanza alla formazione religiosa dei propri figli di solito finiscono col rendersi conto del loro errore, ma quasi sempre tardi e con amarezza.
 
Trasmettere vuol dire comunicare - A volte non ci manca tanto la dottrina quanto la capacità di comunicare.  Trasmettere la fede equivale in definitiva a trasmettere un messaggio, una novità, il Vangelo: la comunicazione è la chave, fa parte dell’essenza, non è un’aggiunta interessante. - Parlare pensando agli stereotipi con cui ci vedono.  Per esempio, un poco esagerati.  Non dimenticare che ascoltano dagli altri l’aspetto negativo forse più che da noi quello positivo. - Attenzione al feedback: ragionevolmente ricettivi all’eco di ciò che diciamo o facciamo. - Fornire le motivazioni umane per lottare su ogni punto che proponiamo.  Perchè vivere la purezza, la temperanza, la laboriosità?  Perché spegnere internet o la tv?  Perché evitare ore e ore di videogiochi?  Perchè tanto studio?  Perché pregare tanto? - Rendere attraente la virtù.  Non basta dare una chiara dottrina, anche con argomenti indiscutibili: occorre rendere amabile la virtù, mostrare quanto sia attraente vivere da cristiani.  Non basta che sappiano che una data cosa è peccato; dobbiamo trasmettere il desiderio di vivere la virtù (parlare dell’amore umano e condurre una vita limpida, o spiegare che l’agilità del volo del nibbio è dovuta alla leggerezza del suo corpo).  Nel peccato vedano la penitenza, e nella virtù il suo premio. - Aprire orizzonti.  Dare la dottrina con un tono positivo.  Non mostrare solo la parte aspra del sentiero.  Non riduciamo tutto a ciò che è proibito e a ciò che è obbligatorio. 
Non dobbiamo far sembrare la fede una dura e fredda normativa costrittiva, un codice di peccati e di obblighi.  Mettere in evidenza che i comandamenti del Signore rinvigoriscono la persona, elevandola allo sviluppo più completo.  Il nostro discorso deve avere un tono che metta in evidenza come la formazione migliori la personalità di ognuno. - Parlare spesso della Chiesa.  Bisogna fare in modo che la Chiesa non sia considerata come una cosa dei preti, delle parrocchie, ma come una cosa nostra, una cosa che ci riguarda personalmente, che ci coinvolge, che è nostra, dei laici, delle famiglie, di tutti.  Parlare della dimensione apostolica del lavoro.  Essere e sentirsi della Chiesa, avere un cuore grande, sentire tutta la famiglia umana come la propria famiglia. - Educare a una profonda preoccupazione per la società.  Nessun dramma umano deve esserci estraneo.  Le opere di misericordia; però cominciando dalla propria casa: chi in casa, nella tua classe, nel club, si trova un po’ solo o ha più bisogno di affetto?  Non restare invischiati nella posizione roussoniana del buon selvaggio: penso che la realtà sia più vicina di Wolding ne “Il Signore delle mosche”; la natura umana è ferita e ha molto bisogno della grazia e della formazione per uscire dall’enorme rudezza che si trascina, e proprio per questo è così importante educare il suo cuore nelle opere di misericordia. - Parlare molto della figura di Cristo, ma facendo in modo che risulti vicina, che lo capiscano bene.  Non accontentarsi di ripetere frasi che assai presto per loro potrebbero apparire vuote (identificarsi con Cristo, essere un altro Cristo, innamorarsi di Cristo...); studiare il modo migliore per far sì che scoprano la sua figura, con tutta la sua forza.  Giovanni Paolo II, in “Alzatevi, andiamo!”: per ogni problema da risolvere, cercare quale verità o scena del Vangelo lo illumina. - Ogni tanto intercalare riferimenti e idee chiare sull’amore umano, che li aiuti molto a vivere bene la purezza, a pensare come persone grandi.  Contemporaneamente ribadire il grande dono che ha in sè la vocazione della donazine a Dio nel celibato. - Creare consensi per l’Opera.  Far conoscere l’Opera con garbo, con sicurezza, senza che sembri propaganda nè auto-elogio.  Mostrarlo con la nostra vita, con lo spirito che vivifica il nostro modo di agire, con spiegazioni semplici e naturali, ben meditate, non noiose nè ripetitive, ma neppure troppo scarne o disadorne.  Chiedere a Dio il dono di lingue per lasciar intravedere la grandezza dello spirito dell’Opera in modo semplice e naturale, in modo che questo li faccia crescere nel desiderio di servire Dio.
 
Formarsi seriamente - Affilare la sega, anche se hai ancora molti tronchi da tagliare (anzi, proprio per questo). - Per essere un buon medico non basta vedere molte volte per molto tempo i pazienti: bisogna leggere, fare domande, fare ricerca, partecipare ai congressi...  Qualità, competenza, senso professionale nel compito di educare. - Formarsi.  Non farsi ingannare dall’idea seducente di “non avere tempo”...  E’ vero che non è facile, ma si trovano sempre alcuni minuti al giorno, una o due ore alla fine della settimana... attenti a dove possiamo recimolare tempo: qualcosa dal calcio in tv, un altro po’ dai momenti di pigrizia... (o forse parecchie ore che dedichiamo a cose meno importanti che migliorare la formazione...).
- Le buone idee personali di solito nascono dopo aver letto o ascoltato le buone idee degli altri.  Prendere nota delle idee che si presentano quando leggiamo, ascoltiamo, ecc.  Non fidarsi troppo della memoria.  Non essere pigri in queste cose, perché la differenza è come la notte dal giorno.  Ciò che già sappiamo è povero e ripetitivo. - Dare cose da leggere e poi commentarle.  Mettere l’esca.  Conoscenza materiale di base: libri, videocassette, ecc.  Ricavarne frutti.  Buona padronanza delle questioni di fondo di attualità.  Ingegno, creatività, provare cose nuove, senza conformismo. - Commentare i film che si vedono in famiglia, le notizie del telegiornale, ecc.  Fare in modo che vi siano in famiglia momenti di sereno colloquio.  Lasciar parlare, non intestardirsi ad essere troppo “moralizzanti”, non pontificare troppo su qualunque tema, distribuire qualche consiglio per ogni argomento in discussione... - Non basta cogliere al volo un’idea e ripeterla ogni tanto.  Leggere molto e bene: altrimenti ben presto si faranno avanti propositi troppo limitati.  Alzare il livello.  In famiglia si deve dissuadere solo chi vuole abbassare il livello.  Se i genitori vedono meno la TV e parlano e leggono di più, i figli di solito fanno lo stesso. - La conoscenza di una persona richiede una certa ricchezza di vocabolario, esige che si legga e si rifletta su ciò che accade nell’intimo delle persone.  A volte manca la formazione nella fede perché abbiamo difficoltà ad esprimerci (la povertà di linguaggio è molto legata alla povertà dei concetti e a una conoscenza povera della realtà). - Non sottovalutare il potere del linguaggio.  Com’è diversa un’idea espressa in modo ordinato, chiaro e brillante, ben argomentato e ben illustrato con esempi, rispetto a quella stessa idea espressa goffamente, con brutti esempi, poveramente argomentata: lo vediamo nei libri o nei film... non sottovalutare il potere del linguaggio per mostrare (o nascondere) quanto sia attraente la verità.
 
Cercare sinergie - All’interno della famiglia.  Creare un ambiente nel quale si possano appoggiare di più i fratelli, i nonni, ecc. - Scuola, club giovanile, vacanze, luoghi di sport e di svago, ambiente di amici.  Stare attenti che sia un ambiente capace di dare un aiuto. - Occhio ai predatori che possono distruggere il nostro paziente lavoro di anni.  Attenzione a combattere troppo le cose piccole e a non accorgersi delle cose grandi.  Oggi non esiste il rischio di una superprotezione. - Confidare di più nella grazia di Dio.  E’ Dio che smuove i cuori.  Avere speranza quando vediamo che le cose non vanno bene.  Stare sempre accanto a loro, anche quando sembra che si siano allontanati molto.  La vita gira continuamente e fare le cose bene prima o poi dà sempre frutto. - Stimolare iniziative di educazione familiare.  Creare, cercare, compilare, diffondere buoni contenuti.  Organizzare corsi, cicli di conferenze, webs, pubblicazioni, ecc.  Creatività nelle formule: scambio di opinioni, cine-forum, cene con discussione, organizzare gruppi grandi e gruppi piccoli, ecc.  Stimolare la creazione di reti informali per trasmettere queste preoccupazioni e i vari modi di intervenire.  Seminare a piene mani.  C’è una grande domanda, e oltretutto s’impara molto insegnando.