“Catechista è una vocazione: essere catechista, questa è la vocazione, non lavorare da catechista – ricorda Francesco citando il primo incontro con i catechisti nell’Anno della Fede del 2013 - Badate bene, non ho detto fare i catechisti, ma esserlo, perché coinvolge la vita”. Il catechista, aggiunge, è “colui che si è messo al servizio della Parola di Dio, che questa Parola frequenta quotidianamente per farla diventare suo nutrimento e poterla così partecipare agli altri con efficacia e credibilità”.
Il catechista, di conseguenza, non può dimenticare, soprattutto oggi in un contesto di indifferenza religiosa, che la sua parola è sempre un primo annuncio. Pensate bene questo: in questo mondo, in quest’area di tanta indifferenza, la vostra parola sempre sarà un primo annuncio, che arriva a toccare il cuore e la mente di tante persone che sono di attesa di incontrare Cristo. Anche a loro insaputa, ma sono in attesa.
Non lezione ma comunicazione di un'esperienza
Primo annuncio, spiega Papa Francesco, “equivale a sottolineare che Gesù Cristo morto e risorto per amore del Padre, dona il suo perdono a tutti senza distinzione di persone, se solo aprono il loro cuore a lasciarsi convertire!”. Ma il catechista non è un maestro e la catechesi non è una lezione. “La catechesi è la comunicazione di un’esperienza e la testimonianza di una fede che accende i cuori, perché immette il desiderio di incontrare Cristo”.
Per favore, nella comunicazione della fede non cadete nella tentazione di stravolgere l’ordine con il quale da sempre la Chiesa ha annunciato e presentato il kerigma, e che trova riscontro anche nella struttura dello stesso Catechismo. Non si può, ad esempio, anteporre la legge, fosse anche quella morale, all’annuncio tangibile dell’amore e della misericordia di Dio. Non possiamo dimenticare le parole di Gesù: “Non sono venuto a condannare, ma a perdonare...”. Alla stessa stregua, non si può presumere di imporre una verità della fede prescindendo dalla chiamata alla libertà che questa comporta.
Educare alla fede chi ha un'identità cristiana debole
Per questo, prosegue ancora il Pontefice E’ necessario che il catechista comprenda, quindi, la grande sfida che si trova dinanzi su come educare alla fede, in primo luogo, quanti hanno un’identità cristiana debole e, per questo, hanno bisogno di vicinanza, di accoglienza, di pazienza, di amicizia.
Far cogliere e vivere la presenza di Cristo
Infine, il Papa sottolinea che una catechesi feconda “trova nella liturgia e nei sacramenti la sua linfa vitale”, perché “il mistero che la Chiesa celebra trova la sua espressione più bella e coerente nella liturgia”. E nella vita di tutti i sacramenti, fino al culmine dell’Eucaristia “Cristo si fa contemporaneo con la sua Chiesa: la accompagna nelle vicende della sua storia e non si allontana mai dalla sua Sposa”. E’ Lui, chiarisce Francesco, “che si rende vicino e prossimo con quanti lo ricevono nel suo Corpo e nel suo Sangue”.
Come sarebbe utile per la Chiesa se le nostre catechesi fossero improntate nel far cogliere e vivere la presenza di Cristo che agisce e opera la nostra salvezza, permettendoci di sperimentare fin da adesso la bellezza della vita di comunione con il mistero di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo!